Dopo esserci svegliate diverse volte durante la notte, arrivano le 6.30 e non riproviamo nemmeno ad addormentarci. Rimaniamo un po’ in quelle posizioni scomode e brontoliamo qualcosa ogni tanto.
Nonostante ci troviamo dentro una macchina angusta e scomoda, dai finestrini appannati e gocciolanti per la condensa, le poche ore di sonno e poco nulla ristoratore, mi sento bene a essere qui. Sento una sensazione di casa e pace, non solo per essere in un posto nuovo con lo spirito del viaggio, ma anche per la fortuna di poter condividere tutto questo con una persona speciale.
Sistemiamo la macchina e andiamo ad un bar dall’altra parte del paese (Arsiè è diviso in due dalla tangenziale, una parte è a ridosso del lago, dove dormiamo, l’altra è oltre la strada). Facciamo colazione. È il classico bar di paese. Apre alle 5 del mattino, ci sono solo persone anziane, principalmente uomini, che hanno già iniziato a bere vino e mangiare panini al prosciutto.
La barista è una donna di mezza età molto cordiale, che si prende cura dei suoi clienti. Li conosce tutti per nome, chiaramente, e posso immaginare non sia una situazione tanto diversa da altri bar di paese. Non frequentando mai i bar però, ogni volta che capito in situazioni simili rimango stupida. Il senso di calore e familiarità che si percepisce nell’aria è ciò che rende questi posti speciali.
Ordino un cappuccino di soia, e la barista, mentre siamo al tavolo, passa per uscire e mi dice “non per lodarmi, ma in altri bar non credo riescano a fare una schiumetta così fatta bene con il latte di soia”. È proprio una bella schiuma, sì. Le rifaccio i complimenti uscendo.
Alle Rovine di Fumegai
Questa mattina abbiamo in programma un trekking. Vogliamo raggiungere il borgo abbandonato di Fumegai.
Questo borgo, che ora prende il nome di Rovine di Fumegai, è un complesso di una decina di case, abitate la prima volta da agricoltori e pastori da fine ‘800 fino al 1920. Si trova a circa 500 metri di altitudine e ci rendiamo presto conto che non era certo facile da raggiungere all’epoca, come non lo è nemmeno oggi. Venne abbandonato: la vita lassù era dura, specie d’inverno.
Rimane abbandonato fino agli anni ’60, quando venne abitato da una comunità di hippies che però rimase solo qualche mese.
Nel 2019, venne abitato nuovamente da un ragazzo e il suo cane, ma ormai da qualche anno, Fumegai è un borgo fantasma.
Dopo aver parcheggiato cerchiamo l’inizio del sentiero un po’ spaesate, e nella nostra ricerca, incontriamo delle caprette in un giardino, intente a divorare le foglie di un fico. Avevamo sentito i campanellini che portano al collo da qualche metro prima, ma mai ci saremmo immaginate una scena così buffa. Sembrano andare pazze per questo fico che presto rimarrà spoglio, immagino.
La nostra camminata inizia attraversando un ponte particolare. Per via della luce, la sua forma, e i dipinti all’inizio, sembra molto mistico. Risale al 1920 se non ricordo male, e non sembra sia cambiato molto da allora.
Attraversarlo è di certo un’esperienza mistica per Gaia, che non vede l’ora di arrivare dall’altra parte dato che traballa tutto, e le tavole di legno un po’ dismesse aggiungono un pizzico di avventura all’Indiana Jones.
Il sentiero dovrebbe durare 40 minuti, ma noi andiamo con calma e ci fermiamo lungo un ruscello.
Animali a parte, come una ranocchietta piccolissima incontrata sul sentiero, siamo sole.
La luce del sole è ancora fioca, e i giochi di luce attraverso gli alberi rendono l’atmosfera magica.
Incontriamo due signori che scendono, probabilmente erano stati alle rovine per controlli di routine.
Arriviamo a Fumegai, e inizio ad esplorare dentro le case. Gaia è molto suggestionata dal luogo, e non ha tutti i torti.
Le rovine sono spettrali, la natura sta prendendo il sopravvento, ma l’impronta dell’uomo è ancora presente.
All’interno ci sono ancora strumenti utilizzati dagli ultimi abitanti, prodotti per la casa, materassi, divani, bottiglie di vino, scarpe, vestiti, giornali e riviste d’epoca.
Se da una parte è un affascinante salto nel passato, dall’altra è davvero tetro.
Riesco ad immaginare la vita che scorreva qui. Fa uno strano effetto pensarci. Ed è anche impossibile non pensare che un giorno, luoghi che conosco e che ho abitato, saranno così.
Quello che stiamo visitando non è altro che uno scheletro che conserva ricordi di vite passate. E un giorno, non ci sarà più neppure questo.
In una cantina, ci sono 3 o 4 pipistrelli neri che volano in cerchio. Il loro battito d’ali è forte in questa desolazione.
Al piano di sopra dell’ultima casa, è chiara la presenza più recente del ragazzo, ma ormai molte cose sono malridotte. Sul muro sono scritte diverse citazioni sulla vita prese da libri e canzoni. Con un po’ di paura di ritrovarmi qualcuno davanti apro le porte per visitare bene. Sento disagio a stare qui, per quanto osservo affascinata ogni angolo. Sembra di profanare la casa di qualcuno, che è andato farsi un giro nei boschi e tornerà a momenti.
C’è un quaderno aperto e una penna sul tavolo della cucina.
Le persone in visita lasciano qualche pensiero, e anch’io lascio il mio per ricordare il nostro passaggio.
Torniamo indietro. Sul sentiero incontriamo un’altra baby rana.
Ci sono alcune case lungo la via per Fumegai, e una di queste ha attaccato alla rete in giardino dei bouquet di peli di cane.
“Così gli uccelli ci fanno il nido” mi spiega Gaia, era la prima volta che vedevo questa cosa.
Tornate alla macchina sono solo le 10.30 circa e andiamo in un altro bar per una merenda veloce. Siccome Gaia ha patito il freddo ieri notte, andiamo in un negozio e compra una coperta di pile calda e soffice.
Poi andiamo ancora sul lago, ci cuciniamo un piatto di pasta.
Mentre siamo lì, una famiglia comincia a confrontarsi se proseguire per la stradina (la stessa che avevamo imboccato ieri noi due) per arrivare dall’altra parte.
Guardo Gaia e sottovoce chiedo “glielo diciamo che è la strada sbagliata?”
Intanto la famiglia si incammina.
“Lascia stare, che sbaglino. Se non avessimo sbagliato ieri, non avremmo visto quel gatto gigante appolaiato, il museo, le vie carine, il centro del paesino. Era stato un bel giretto anche se non aveva portato a nulla.”
Annuisco, e penso che la mia domanda riassuma un po’ come ho vissuto negli ultimi mesi. Ricercavo scorciatoie durante i momenti dolorosi, senza pensare che avrei trovato la bellezza (come infatti avvenne) anche per quei sentieri tortuosi della vita.
La risposta di Gaia mi è piaciuta moltissimo, non avevo pensato effettivamente a quanto bello era stato quel giretto a vuoto, che però ci aveva a suo modo meravigliato.
La nostra spiaggetta finalmente si libera perché le persone se ne vanno per pranzare. Prendiamo il loro posto e ci accampiamo come ieri. Facciamo diversi bagni, ascoltiamo il podcast, riposiamo.
Ad un certo punto inizia piovere, anche se c’è il sole.
È uno spettacolo meraviglioso.
Queste gocce di pioggia argentee si fondono nell’acqua lasciando piccoli cerchi. La natura sa sempre stupire, e una pioggia che avrebbe potuto disturbare qualcuno, era l’intrattenimento di altri.
Prima volta in kayak
Sono le 15 circa, decidiamo di raccogliere le nostre cose e noleggiare un kayak per visitare il lago. Al bar infatti, è possibile noleggiare kayak, sup, pedalò. Ce li immaginavamo meno costosi, ma siamo decise a fare questa esperienza. Un kayak doppio (quindi a due posti) viene 30 euro l’ora, e decidiamo di noleggiarlo per due ore.
Piccolo consiglio per chi decidesse di fare lo stesso: meglio noleggiare kayak o sup per almeno due ore se si vuole visitare il lago con calma, specie se si è alle prime armi come noi!
Non abbiamo mai remato un kayak o nulla di simile, ma era un mio desiderio da tempo. Non vengo delusa: è una delle esperienze più belle che abbia fatto.
La lentezza con cui ti puoi godere il panorama, i dettagli, è la chiave. Amo la lentezza, perché permette di osservare e imparare, assorbire davvero. È lo stesso motivo per cui amo camminare. Remare un kayak è come camminare sull’acqua.
La vista è magnifica, e la vicinanza con l’acqua è una bella sensazione. Non è una passeggiata però: è abbastanza faticoso, e riuscire ad andare dritte e procedere con costanza è spesso un’impresa. Ogni tanto ci sorprendiamo della coordinazione e della velocità che riusciamo a prendere!
Il Lago di Corlo è famoso per presentare dei fiordi come quelli norvegesi (certo non è nulla in paragone con quelli, ma sono comunque di una bellezza che merita). Remare per scorgere i vari punti e passare sotto i diversi ponti, compreso quello di stamattina, è incantevole. Pensare che siamo sulla superficie di un lago e che sotto di noi ci sono 67 metri d’acqua, fa un certo effetto. Non l’ho mai fatto, ma chissà come deve essere stare sulla superficie di un’oceano sapendo del mondo sotto i tuoi piedi.
Due ragazze con il sup ci chiedono di fare loro delle foto. Sono molto tenere, gliene scatto diverse e dico loro che ci vedremo dopo al bar per inviargliele.
Continuando a remare, ci accorgiamo che sopra di noi c’è un’aquila in volo. Crea cerchi a chissà quanti metri sulle nostre teste. Rimaniamo a guardare meravigliate quella gigantessa dei cieli.
Torniamo poi al luogo del noleggio, passiamo per il bar per prendere da bere e condivido le foto alle due ragazze che sono ora sedute ad un tavolino.
Ci mettiamo in riva con una coperta per ascoltare qualche altra puntata del podcast (sì siamo davvero fissate) e poi andiamo alla macchina per cenare. Abbiamo ancora delle verdure avanzate con l’hummus, ma purtroppo sono andate a male. Meglio evitare di stare male, così prendiamo delle piade al bar.
All’imbrunire torniamo alla macchina e la prepariamo per la notte. Ieri non eravamo riuscite a chiuderla da dentro, quindi ci eravamo addormentate con la paura che qualcuno potesse aprire la portiera. Avevo addirittura fatto un incubo in cui c’era un bambino con il padre che giravano attorno alla macchina con fare inquietante.
Stanotte invece, riusciamo a chiuderla e siamo già più serene. Fa anche più caldo, tanto che riesco a dormire con le braccia fuori dal sacco a pelo e Gaia è in mutande sotto la coperta!
Speravamo di vedere il bel cielo stellato di ieri notte, e invece oggi è più luminoso. Ci addormentiamo, abbiamo capito quali sono le posizioni più comode, e un’altra giornata felice è finita.